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Editoriale del 3 febbraio 2006

Intervento al forum del sindaco di Napoli
di Amedeo Messina

Nel forum di venerdì scorso, 27 gennaio 2006, sul tema del governo del territorio nel rapporto tra democrazia e partecipazione Guido D’Agostino ricordava le parole pronunciate da Vincenzo Cuoco due secoli or sono giudicando di vedere due distinte Napoli nella stessa città, una colta ed evoluta, e l’altra straordinariamente arretrata. Quest’anno ricorre il bicentenario della seconda edizione, quella definitiva, del suo Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, pubblicato a Milano da Sonzogno, dove il Cuoco scriveva: «se un'autorità, che il popolo credeva legittima e nazionale, invece di parlargli un astruso linguaggio che esso non intendeva, gli avesse procurato de' beni reali, e liberato lo avesse da que' mali che soffriva; forse... noi non piangeremmo ora sui miseri avanzi di una patria desolata e degna di una sorte migliore». Al giorno d’oggi occorre un po’ modificare il suo giudizio e ciò significa che, per la salvezza di Napoli, non bastano certo programmi politici e iniziative economiche, ma occorre soprattutto condividere col popolo il linguaggio, se ci si vuole intendere davvero.

Eppure la realtà ci viene offerta da statistiche ufficiali, quando ci presentano le cifre della storica sconfitta dei centoquarant’anni o giù di lì dell’obbligo scolastico di un italiano che ai più resta quasi sconosciuto. Quelle ultime dell’Unla (Unione nazionale per la lotta all’analfabetismo) ci segnalano in città più del 70% di analfabeti, al punto che nell’apposita classifica dei capoluoghi incolti Napoli si colloca al quarto posto, preceduta solo da Catania, Palermo e Bari. La politica è in ritardo grave nel capire che la maggioranza dei suoi cittadini è perlopiù straniera in casa, soprattutto se si tiene in conto che essi sono dunque analfabeti di due lingue proprie, dal momento che non sanno né lèggere né scrivere tanto l’italiano quanto il napoletano stesso. Tutto ciò è tanto più grave per il fatto che la stragrande maggioranza dei parlanti il solo idioma partenopeo è abbandonata, al centro come nelle periferie, ai messaggi egemonici della diffusa subcultura della prepotenza personale e addirittura del controstato collettivo. Insomma essa diviene un troppo facile bacino dei linguaggi di camorra.

Abbandonare all’ignoranza e alle svariate forme della delinquenza la cultura millenaria della lingua napoletana è di per sé sbagliato e quasi oggettivamente collusivo coi numerosi tentacoli della piovra criminale, ma c’è di più, perché allo stesso tempo ciò significa attentare gravemente a quel diritto alla propria lingua originaria consacrato tanto dalla Costituzione della Repubblica italiana del 1947, quanto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e dalla Carta europea delle lingue regionali del 1992. In tal senso occorre forse ricordare che un po’ tutte le Regioni hanno in Italia proprie leggi di tutela e promozione dei linguaggi e dei dialetti. Tra le poche eccezioni spicca per l’appunto la Campania, nonostante il fatto che il napoletano mostri per intero la sua vitalità e la sua bellezza, tanto da diffondere nel mondo intero l’espressione culturale di maggiore identità e valore della nostra terra e ciò attraverso la poesia, la canzone, la drammaturgia, riconosciute ed apprezzate in ogni luogo del pianeta.

Siamo giunti al punto che vi sono attualmente cattedre nel mondo di cultura e lingua napoletana un po’ dovunque, ma non a Napoli e in Campania. Eppure il suo insegnamento nelle scuole e l’uso che se ne potrebbe fare nelle amministrazioni basterebbe con didattica contrastiva a migliorare in ogni alunno il proprio apprendimento dell’italiano e di una lingua straniera, oltre a costituire una barriera contro il dilagare della fortissima ipoteca camorristica che grava al giorno d’oggi sul napoletano. Se l’intelligenza dei governi comunali e regionali desse impulso di ufficialità ai linguaggi nativi delle nuove generazioni e delle masse popolari si restituirebbe a tutti ed a ciascuno la pienezza di una identità comunitaria e personale, ci si capirebbe meglio e ci si aprirebbe al dialogo costante con le diversità che rappresentano il valore attualmente aggiunto alla ricchezza di una Napoli che solo se ritorna a lèggere in sé stessa può davvero aprirsi al mondo.
    
Le cose, certo, non nascono all’istante. Ebbene, signora sindaco, occorre un po’ di audacia. Andare tra la gente con la loro lingua e darle il senso vero dell’appartenenza e della cittadinanza. Non calare come dall’alto in basso, quasi con il piglio del colonizzatore. Questa sera, qui, noi siamo come un mondo a parte e separato dalla Napoli concreta che è distante, ma non perché la maggioranza è assente o astratta sia la discussione, ma perché parliamo tutta un’altra lingua. Possiamo bensì fare belle analisi e proporre fecondissimi programmi, ma non riusciremo a smuovere coscienze. Sappia che noi dell’Istituto Linguistico Campano siamo a disposizione di Napoli e di chi con tali intenti vuole governarla. In questa impresa tanto più difficile quanto più urgente e necessaria. In tempi in cui si vende ovunque la persona e si compra il suo lavoro non possiamo più permetterci di togliere a qualcuno o a molti anche la parola vera, quella originaria in cui si riconosce e lo costituisce.